Con il termine “invenzione della radio” intendiamo una serie di processi intellettuali, ascrivibili all’opera di singoli scienziati, ed in quanto tali riconosciuti in termini oggettivi (mediante il deposito di brevetti) che portano non solo all’invenzione di una tecnologia, ma al prodursi di una nuova richiesta di servizi (la telegrafia senza fili) che guiderà lo sviluppo tecnologico e scientifico, presentando richieste specifiche in termini di espansione del servizio stesso.
Da questo punto di vista il cambiamento della relazione tra innovazione e società è radicale: l’invenzione non è un accidente nella storia e nel patrimonio di conoscenze collettive della società, ma nasce e si sviluppa con la caratteristica di un servizio commerciale.

Ne è un esempio la travagliata storia della Macchina analitica di Babbage, una macchina continuamente espansa e ripensita, mai terminata, non solo per le caratteristiche personali dell’inventore, ma anche perché, all’epoca, non esistevano strumenti dotati della precisione necessaria per poterla costruire.

Una ricostruzione di parte della macchina analitica.

Tutta l’espansione della radiotecnica nel periodo 1890 – 1910 è la storia dei cambiamenti tecnologici, spesso ottenuti per via empirica, che rendono sempre più commercialmente appetibile un’invenzione che viene fornita ai mercati come servizio, e non come oggetto tecnologico in sé.

L’invenzione della radio è dovuta all’ostinata capacità di ricerca ed al genio di alcuni studiosi, ed in gran parte a quella singolare unione di spregiudicata intuizione tecnologica e capacità commerciale che si trovano riunite nell’opera di Guglielmo Marconi. Il quadro in cui l’invenzione si inserisce, l’ambiente che ne consente lo sviluppo, maturano grazie ad un lavoro che diventerà progressivamente collettivo, opera di molteplici scienziati ed al concorrere di quella gran quantità di cambiamenti che associamo allo stabilirsi e pienamente realizzarsi della rivoluzione industriale.

La disponibilità di nuovi modi di produzione di energia (il vapore), l’aumento demografico, la creazione di un tessuto industriale, modificano progressivamente i ruoli sociali, la visione del mondo ed il modo in cui gli esseri umani si considerano all’interno della società. Cambiano la maniera in cui l’innovazione tecnologica viene percepita anzi, per meglio dire, costruiscono il tessuto economico e sociale in cui l’innovazione tecnologica può essere recepita.

Tra ‘700 e ‘800

Fino alla fine del ‘700 nei villaggi inglesi domina l’economia agraria dei campi aperti: la popolazione ha a disposizione dei campi, divisi in lunghe strisce, che vengono coltivati dagli abitanti. Questi campi non sono recintati e la loro coltivazione è onore ed onere degli abitanti dei villaggi (che ad esempio non possono esimersi dalla coltivazione delle terre, né dalla coltivazione delle terre personali del Lord del villaggio). Per quanto le prime chiusure dei campi datino all’inizio del 1600 (1608), è solo con la fine del ‘700 che la pratica subisce un impulso definitivo.

Altre leggi regolano e ingessano la vita lavorativa nei villaggi: la norma sullo Statute of Artificiers (abolita nel 1694) impedisce ai figli dei contadini di dedicarsi ad attività artigianali. Le Poor Laws (1601) prevedono sussidi forniti dalle parrocchie per sostenere i più poveri nei villaggi, ma li vincolano al villaggio di residenza. Infatti le Poor Laws sono di applicazione locale; spesso le parrocchie non hanno i mezzi o l’intenzione di fornire sussidi o asili ai poveri; ad evitare che questi si spostino verso quelle più ricche o meglio amministrate, il Settlement and Removal act del 1662 stabilisce che la comunità di origine debba occuparsi dei propri indigenti sostenendoli economicamente.

Strip fields

In questo modo la mobilità della popolazione è fortemente compromessa: se da un lato i poveri non possono spostarsi verso i villaggi più ricchi e generosi coni propri poveri, dall’altro non possono muoversi in cerca di lavoro verso altre aree senza perdere il supporto all’esistenza stessa; nel 1795 l’Atto venne parzialmente abrogato, rendendo possibile alla forza lavoro di affluire nelle fabbriche nascenti.

In questo quadro avviene il progressivo passaggio delle terre da campi aperti a recintati. L’originaria distribuzione dei campi demaniali tra gli abitanti del villaggio si tramanda di generazione in generazione. Le terre in uso ad una singola famiglia sono sparse nella campagna in modo che terre fertili e meno fertili siano egualmente distribuite.
Le terre danno la possibilità di vivere, ma la dispersione, la mancanza di mezzi per aumentarne la produttività, l’uso comune del maggese, rendono l’agricoltura una attività di sussistenza a bassa produttività.

Diverse spinte, non ultimo l’aumento demografico della seconda metà del ‘700, fanno sì che tra il 1750 ed il 1860 siano emessi una serie di Atti Parlamentari destinati a trasferire nelle mani di pochi proprietari i terreni che precedentemente erano open fields, e per i quali diventa obbligatorio, per poterne mantenere la proprietà, effettuare la recinzione.

Questo comporta un aumento dei costi di gestione delle terre che non consente di tenere i terreni improduttivi. La produttività dei campi aumenta drasticamente, grazie a tecniche di rotazione delle culture, all’uso di animali nel lavoro nei campi, all’introduzione di diversi tipi di coltivazione, come ad esempio la produzione di foraggi che sostituisce il maggese (i foraggi impoveriscono meno la terra).

Questo aumento di produttività, e la progressiva diminuzione degli open fields portano alla costituzione, per dirla nei termini di Marx, di un ampio esercito industriale di riserva, di un eccesso di manodopera, che si riversa nelle città in cerca di lavori che non riesce a trovare nei villaggi, in gran parte strutturati per l’autosostentamento. Questo elemento da solo non basta a spiegare la crescita industriale dei primi dell’800, ma costituisce uno dei fattori che alimentano l’espansione industriale, espansione che innanzi tutto vede protagonista l’industria tessile.

 

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